Il presidente dell’associazione Mescalchin ne chiede il ripristino e denuncia chi continua a sporcare l’oasi naturale
Tegnùe senza immersioni. La zona di tutela biologica al largo di Chioggia è abbandonata, senza boe per l’ancoraggio e quindi senza possibilità di ospitare attività subacquea. Lo denuncia il presidente dell’associazione Tegnùe onlus, Piero Mescalchin, tornando a appellarsi al Comune perché ripristini le boe e renda pubblico come sono stati spesi i finanziamenti milionari arrivati in città per la tutela delle Tegnùe.
L’occasione per lo sfogo arriva sulla scia della ricerca, pubblicata in questi giorni, condotta dal Cnr di Venezia e dall’università di Padova sulla genesi delle scogliere sommerse di Chioggia. I ricercatori hanno scoperto che le Tegnùe risalgono a 7.000 anni fa e si sono formate con la cementazione dei canali fluviali risalenti all’ultimo periodo glaciale. «Finalmente dei soldi spesi bene per le Tegnùe di Chioggia», commenta Mescalchin, «questa importante ricerca si è potuta fare grazie a un finanziamento regionale procurato dalla nostra associazione per il Comune. Siamo lieti che dell’ingente somma, oltre un milione di euro arrivati al Comune, almeno una parte, siano stati ben spesi per la ricerca e per il mare. In campagna elettorale il candidato sindaco poi eletto, Alessandro Ferro, aveva promesso di rendere pubblico come è stato impiegato il finanziamento regionale, ma a oggi nulla si è saputo».
Il rammarico di Mescalchin non riguarda solo l’utilizzo sconosciuto delle risorse, ma in particolare lo stato di abbandono che da oltre un anno vivono le Tegnùe. «Il degrado rimane», spiega il presidente, «A peggiorare la situazione la mancanza delle boe di ormeggio che, data l’ordinanza della Capitaneria che vieta l’ancoraggio, preclude totalmente l’attività subacquea. Nelle zone di tutela biologica non è richiesto il divieto di ancoraggio, è una limitazione che abbiamo sollecitato noi per meglio preservare il delicato ambiente. Purtroppo in questa situazione ci vedremo costretti a chiedere che venga tolto il divieto altrimenti nessuno potrà immergersi».
«Sarebbe bastato poco per ripristinare le boe», spiega Mescalchin, «mi auguro che si provveda quanto prima e che finiti i soldi e allontanati gli speculatori, si ritorni con un po’di buon senso a ascoltare chi da una vita si spende perché questo angolo di mare non diventi un deposito di immondizie». Permane infatti la cattiva abitudine di alcuni pescatori e diportisti di scaricare nelle Tegnùe tutto quello che sarebbe difficile smaltire a terra.
Fonte: articolo di Elisabetta Boscolo Anzoletti, La Nuova di Venezia